Notizie Radicali
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  mercoledì 08 luglio 2009
 Direttore: Gualtiero Vecellio
San Paolo, i sofisti, il ministro Maroni

• da "Il Foglio”

di Angiolo Bandinelli

Le notizie sono due, e si completano l’una con l’altra. A Roma, nella catacomba di Santa Tecla, nei pressi della basilica di San Paolo, hanno scoperto una immagine dell’Apostolo delle genti, forse la più antica (è del IV secolo). Ispezionando poi una tomba all’interno della basilica, sono stati individuati reperti che sembrano confermare testimonianze secolari circa la sua sepoltura in quel luogo. L’immagine riapparsa nella catacomba raffigura un uomo di mezza età, calvo ma con una barba nera a punta, aggrottato, scavato, teso nel pensiero. Secondo gli studiosi, riporta ad una iconografia abbastanza consueta: questo San Paolo avrebbe insomma le fattezze di un filosofo, anzi del filosofo greco per eccellenza, Platone. Il professor Antonio Paolucci, Direttore dei musei vaticani, spiega che il nascente cristianesimo adottò per Gesù Cristo raffigurazioni estrapolate dai culti pagani del tempo. Per dire, Cristo fu assimilato al sole. "Ma - prosegue Paolucci - come rappresentare Pietro e Paolo, i principi degli apostoli, le colonne portanti della Chiesa, i fondamenti della gerarchia e della dottrina?” La domanda assillò i credenti. “Qualcuno ebbe un'idea felice. Diede ai protoapostoli le sembianze dei protofilosofi. Così Paolo, calvo, barbato, l'aria grave e assorta dell'intellettuale, ebbe il volto di Platone o forse di Plotino, mentre quello di Aristotele fu dato al pragmatico e terrestre Pietro, che ha il compito di guidare nelle insidie del mondo la Chiesa professante e combattente".

 

Si può capire l’ambizione della chiesa nascente, di contrapporre ai grandi pensatori pagani i suoi apostoli, con dignità e valenza pari a quelli. Ma io, se dovessi trovare nel pensiero greco un qualche precedente di San Paolo, non darei la palma a Platone o a Plotino. Di san Pietro non saprei cosa dire, il parallelo con Aristotile forse ha senso, regge; di San Paolo, invece, direi convintamente che egli somiglia, per aspetti non secondari della sua predicazione, a un sofista presocratico, magari al Socrate dei primi dialoghi platonici. Sì,  per me i sofisti sono stati i predecessori dell’Apostolo delle genti. Non Platone, non Aristotile, “professori”, teorici, metafisici  chiusi nel loro Liceo, nel loro Peripato, nella loro Accademia; ma i sofisti, quelli che andavano in giro - proprio come San Paolo - tra le piazze, le agorà, nei mercati, per provocare, mettere in crisi, inquietare le coscienze. Chiedevano: “Ti esti touto?” “Cosa è questo?”, secondo il ricordo che ce ne dà, attraverso la figura di Socrate, il giovane Platone. In questo interrogare sofistico-socratico che non si placa mai è la vera nascita dell’Occidente. I greci amavano distinguersi dai barbari (quelli che non parlano, che emettono solo suoni incomprensibili) soprattutto per questo, il rigore logico del pensiero, che nasce appunto con l’inquietante interrogare dei sofisti (e/o di Socrate). Con quell’interrogativo, “ti esti touto?”, sbriciolavano, laicizzavano il mito, le credenze, le opinioni, obbligavano la ragione a discuterne. Così anche San Paolo, il quale porta incessantemente alle coscienze il tema del Cristo, per le strade e le piazze di mezzo mondo, in un dialogo che rifiuta espressamente circoncisione, pratiche e formalismi esteriori e dunque vive al di fuori e senza mediazioni chiesastiche. La parola non riconosce né poteri né investiture: niente istituzioni, niente costrizioni, la ecclesia è innanzitutto un fatto interiore, di fede, è comunità di questi fedeli. San Paolo si offrì, si rimise al potere, fino al sacrificio, forte solo della sua parola. Che fosse, lui, un laico?

 

E magari, accanto ai sofisti, metterei tra i predecessori di Paolo i cinici, quelli che predicavano (nelle piazze, anche loro) che la felicità consiste nel vivere secondo virtù, ma anche manifestavano dispregio per ogni costume, abitudine o convenzione umana. Anche Paolo chiede l’abbandono del mondo, la conversione totale a Cristo.

I cristiani fioriti da una parola così rivoluzionaria erano un po’ come gli immigrati clandestini rispetto a Maroni. Estranei alla polis, ostili ad un potere lontano dalle coscienze, quei metaforici “boat people” dovevano essere respinti sulle sponde di Palestina; quanti caddero in mani imperiali subirono la pena della crocefissione, infamante, buona solo per i non romani. A Paolo, proclamatosi cittadino romano, fu risparmiata l’onta, ottenne la decollazione. Se il ministro degli interni, il Maroni del tempo, non avesse lasciato aperta quella falla della cittadinanza ottenuta per discutibile diritto di nascita (per Maroni, mi pare, conta solo lo jus sanguinis) Paolo non sarebbe stato ammesso ai tribunali dell’Impero, la sua parola sarebbe stata quella di un extracomunitario. Non avrebbe avuto il credito che si è guadagnato: e dunque la storia dell’occidente sarebbe del tutto diversa.